Tradizioni – Food
La Cuddura, un pegno d’amore
Ringraziamo Calabria Soul Food per il contributo.

Cuddure preparate da Marcello Manti – Il Tipico Calabrese, Cardeto (Rc)
Foto di Simona Lombardo
Vito Teti, nel suo libro Fine Pasto, citando Durkheim e Barthes, parla dell’atto del mangiare come un “fatto sociale totale” – come collegamento tra natura e cultura. Il mangiare è anche una lingua, quindi gusto e comunicazione, e ogni alimento racchiude e trasmette una situazione, rappresenta un’informazione.
Durante le ricorrenze religiose in Calabria, il cibo è rituale, altamente simbolico. Ci sono ricette che si tramandano da sempre, come il parlare una lingua antica, e ancora oggi sulle tavole calabresi delle feste di famiglia si ritrovano preparazioni immutate da secoli, strettamente legate ad un preciso periodo dell’anno. I cibi che una volta erano vera e propria comunicazione tra le persone, rituali culinari che sono ormai spogliati della valenza simbolica e relazionale, rimangono comunque l’occasione per raccontare una storia.
Il giorno di Pasqua segna la fine della Quaresima ed è il giorno del festeggiamento della resurrezione e dall’arrivo della Primavera, della rinascita e dell’abbondanza.
Uno dei simboli della tradizione culinaria calabrese di questo periodo è la Cuddura (dal greco kollura, corolla, corona), un dolce semplice dalla forma fantasiosa e dal significato ogni volta diverso a seconda del disegno.
Le Cuddure, Cudduraci, Cuddureddi, Campanari o Cuzzupe, come dir si voglia a seconda della zona a Sud in cui ci troviamo, sono preparazioni a base di farina di grano tenero, zucchero e uova, queste ultime un ingrediente e un ornamento insieme.
L’uovo sodo infatti ne completa il disegno e simboleggia più di ogni altro particolare la rinascita, la vita eterna, l’abbondanza – la tradizione vuole che vengano fatte benedire in chiesa prima di inserirle nella forma dell’impasto.
Le Cuddure preparate in quella zona del Reggino di influenza grecanica, a differenza di altre (ad esempio delle Cuzzupe del catanzarese) sono frollose e morbide all’interno, speziate di cannella e garofano e profumate di buccia d’arancia.
A seconda della forma venivano donate a persone precise perché rappresentavano ciascuna messaggi diversi: se a forma di cestino o di pappatuleda (bambolina) era destinato ai “figghioli” di casa; a forma di ferru i sceccu (ferro di asino/di cavallo) come simbolo di buona fortuna; se a forma di cuore, erano il dono della suocera al futuro genero, mentre a forma di torre e guarnita di uova sode, era il dono della futura sposa al proprio promesso, perchè rappresentava la casa e la fertilità.
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Progetto realizzato con il contributo della Regione Calabria
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